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- Scritto da Maisano Gianmarco
L’utilizzo dei droni nell’ambito delle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) rappresenta una tecnologia che sta entrando in un nuovo regime operativo grazie allo sviluppo di procedure e addestramento di personale dedicato. I droni offrono vantaggi significativi: migliorano la sicurezza degli operatori, riducono il tempo di risposta a un’emergenza e consentono di coprire ampie aree con un impiego minimo di risorse umane. Inoltre, grazie alla loro versatilità, possono essere equipaggiati con una vasta gamma di sensori per raccogliere dati critici in tempo reale, contribuendo a decisioni operative più rapide ed efficaci. Rispetto a mezzi tradizionali come elicotteri o aerei con equipaggio, i droni presentano costi operativi significativamente inferiori, sia in termini di carburante che di manutenzione. Tuttavia, non tutti i droni sono adatti a ogni scenario operativo: per comprendere meglio il loro utilizzo, possiamo suddividerli in categorie in base al principio che governa il loro sostenimento in aria.
I multirotori sono, ad oggi, i droni più comuni, in particolare nelle applicazioni civili come la fotografia aerea, la sorveglianza e le operazioni di ricerca e soccorso. Hanno solitamente da 2 a 6 motori con eliche che generano la portanza e, variando la velocità di ciascun motore, controllano la direzione e la stabilità del velivolo. Il principale vantaggio dei multirotori è la possibilità di decollare e atterrare in verticale, oltre alla capacità di stazionare in volo (hovering). Questo rende il controllo del velivolo più facile per il pilota, consentendo operazioni più precise. Inoltre, il sistema consente di adattarsi a pesi e dimensioni diverse, passando da piccoli droni portatili, che possono entrare facilmente in uno zaino, a dispositivi più grandi in grado di sollevare carichi pesanti.
I droni a singola ala rotante, pur essendo meno diffusi, sono utilizzati in applicazioni specialistiche, come nel settore militare o in scenari di soccorso su terreni difficili. Questi droni hanno la stessa configurazione degli elicotteri, con un rotore principale che genera la portanza e un rotore secondario per il controllo della rotazione. Sono tendenzialmente più grandi e complessi, motivo per cui sono meno diffusi rispetto ad altre tipologie di droni.
I droni ad ala fissa sfruttano un’ala tradizionale per lo sviluppo della portanza e uno o più motori per la propulsione di avanzamento, quindi non sono direttamente responsabili della generazione di portanza. Questi droni sono molto diffusi nell’ambito militare, dove sono stati i primi velivoli a pilotaggio remoto a essere impiegati per missioni di ricognizione e sorveglianza. Sono ideali per voli a lungo raggio e per operazioni che richiedono una copertura territoriale estesa come nel caso della sorveglianza ambientale, della mappatura e delle missioni di ricognizione.
Le soluzioni ibride stanno guadagnando sempre più popolarità. Questi sistemi integrano la configurazione aeronautica tradizionale dei droni ad ala fissa con 4 propeller per la generazione di portanza, offrendo la possibilità di decollare e atterrare verticalmente, combinando così i vantaggi dei droni a ala fissa (autonomia e velocità) con quelli dei droni a decollo verticale (manovrabilità e versatilità). Questo li rende adatti a una gamma più ampia di applicazioni, dalle operazioni di soccorso a quelle di sorveglianza e monitoraggio.
Torniamo quindi alle operazioni SAR (Search and Rescue). È evidente come ogni tipologia di drone sia adatta a uno specifico scenario operativo. I multirotori sono ideali per operazioni a corto raggio, come il supporto alle squadre di terra nella ricerca di persone, nella valutazione dello scenario, nel monitoraggio e nelle operazioni di precisione. Grazie alle loro dimensioni compatte, possono decollare praticamente ovunque, anche in spazi ristretti. Il principale svantaggio dei multirotori è l’autonomia ridotta, così come il range limitato, che li rende meno adatti per operazioni su ampie aree.
I droni ad ala fissa, per loro natura, sono molto più efficienti rispetto ai multirotori grazie al numero ridotto di motori e al design aerodinamico. Questo consente loro di coprire distanze nettamente superiori, con un’autonomia significativamente maggiore. Sono, quindi, ideali per operazioni di pattugliamento su grandi aree, come nel monitoraggio boschivo o nel pattugliamento costiero. Tuttavia, questa categoria di droni necessita di spazi di decollo e atterraggio più ampi e tende ad avere un ingombro e un peso maggiore. Alcuni modelli, comunque, possono ridurre la necessità di piste di decollo e atterraggio attrezzate, grazie a soluzioni innovative come i lanciatori pneumatici progettati per lanciare veicoli aerei senza equipaggio con un peso al decollo fino a 40 kg a una velocità di 17 m/s (61 km/h). Inoltre, le soluzioni ibride combinano il decollo verticale con l’efficienza dei droni ad ala fissa, ma questo comporta un sacrificio in termini di efficienza a causa del peso aggiuntivo derivante dal sistema di propulsione verticale.
Diverse sperimentazioni vedono impiegati i droni ad ala fissa o ibridi in ambito SAR o di monitoraggio, come ad esempio il controllo delle acque per possibili sversamenti in mare di sostanze nocive da parte di imbarcazioni, portato avanti dall’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA). In questo caso il payload o carico utile trasportabile da un aeromobile sia ad ala fissa che ala rotante che consiste in diversi strumenti per il monitoraggio e la gestione delle emergenze: include un radar marittimo per la rilevazione a lungo raggio di navi e chiazze di petrolio, telecamere elettro-ottiche per caratterizzare e classificare le fuoriuscite di petrolio, oltre a registrare la scena e raccogliere prove fotografiche. Sono presenti anche telecamere a infrarossi termici per la rilevazione dello spessore della chiazza, l'identificazione delle navi, l'analisi di incendi, la localizzazione di persone in pericolo e l'osservazione delle attività navali durante la notte o in condizioni di scarsa visibilità. Inoltre, il payload è equipaggiato con un trasmettitore di segnali di soccorso per determinare la posizione di persone o oggetti in difficoltà e un trasmettitore AIS, un transponder che trasmette e riceve dati statici e/o dinamici per l’identificazione di navi e determinare la loro posizione o rotta.
In ambienti remoti e difficilmente accessibili, come foreste, mari, deserti o aree montuose, i droni ad ala fissa sono particolarmente vantaggiosi. La loro capacità di operare su lunghe distanze senza necessitare di atterraggi frequenti li rende ideali per operazioni di ricerca e soccorso in zone scarsamente popolate o prive di infrastrutture. In un caso di ricerca in una vasta area forestale, ad esempio, un drone ad ala fissa può sorvolare chilometri di territorio, monitorando la situazione dall'alto e identificando eventuali segnali di vita o incendi, riducendo il rischio per il personale di terra. Allo stesso modo, in zone desertiche o montuose, dove le risorse di soccorso possono essere limitate e il terreno difficile da attraversare, un drone ad ala fissa consente di mappare l'area e raccogliere dati cruciali, che possono accelerare l'intervento di salvataggio.
L’importanza di una flotta diversificata di droni, parallelamente allo sviluppo di procedure, sono fattori fondamentali per affrontare emergenze di varia natura, operando in sicurezza: dalla ricerca di dispersi in mare al monitoraggio di incendi, dall’assistenza a imbarcazioni in difficoltà alla sorveglianza costiera. Tra tutte le tipologie, i droni ad ala fissa si distinguono per la loro efficienza su larga scala, ma l’integrazione con multirotori e soluzioni ibride consente di coprire un ventaglio più ampio di operazioni.
In definitiva, in un futuro non tanto lontano, lo sviluppo tecnologico e l’utilizzo dei sistemi di auto-pilotaggio e gestione della missione autonoma potrebbero ulteriormente migliorare l’efficacia delle missioni SAR.
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- Scritto da Faber
La normativa vigente richiede obbligatoriamente che un drone equipaggiato con telecamera sia registrato sulla piattaforma D-Flight e che sia assicurato.
D-Flight non esercita un controllo sulla registrazione dei droni nella piattaforma, se non nel momento dell’inserimento della marca e modello per le quali è possibile selezionare le voci nel menù a tendina; cosa che non accade per altri dati come il nominativo del drone, la scadenza dell’assicurazione, ecc. per i quali è possibile inserire liberamente il testo nell’apposita casella.
Ora mettiamo il caso che vi siano due operatori, Operatore 1 e Operatore 2, ciascuno con un proprio profilo su D-Flight, e che l’Operatore 2 debba usare il drone dell’Operatore 1.
Considerando che Operatore 1 e Operatore 2 possiedono due QR-code distinti e che, come sappiamo, il QR-code deve essere apposto sul drone (e se ne può apporre solamente uno), come risolvere il problema? E ancora, in considerazione delle implicazioni legali e risarcitorie in caso di incidente, l’assicurazione può essere la stessa dell’Operatore 1 quando il drone viene usato dall’Operatore 2?
Possiamo dire che un drone può avere due operatori ma questi devono mettere in atto delle formalità amministrative da cui si possa desumere chi è l’esercente in quel momento:
1) Tra i due operatori deve essere condiviso un documento che indichi in uno specifico periodo temporale chi è l’esercente (l’operatore che lo utilizza);
2) L’Operatore 1 che cede l’utilizzo del drone deve inserire su D-Flight il drone in modalità “manutenzione”, in quanto la piattaforma non consente di “mettere in pausa” il suo uso per il periodo della cessione. L’Operatore 2, che diventa esercente, deve quindi registrare l’UAS sul proprio profilo per avere il drone in modalità attiva e ne sarà, così, l’unico utilizzatore e responsabile. Al termine del periodo di esercizio concordato con l’Operatore 1, provvederà alla sua cancellazione se non è più previsto l’uso;
3) L’Operatore 2 che diventa esercente del drone deve togliere il QR-code dell’operatore 1 e apporre il proprio;
4) Il QR-code è la targa del drone, una targa non può avere due assicurazioni e pertanto ogni operatore dovrà avere una propria assicurazione che deve essere commisurata al suo uso (hobbistica, professionale, di protezione civile, ecc.).
L’Operatore 1 può, se l’assicurazione lo consente, sospendere la sua polizza per il periodo in cui dà in esercizio a un terzo il suo drone.
Al momento non esiste altra procedura consentita da D-Flight relativamente al cambio temporaneo di Operatore, ma, in ossequio alla sicurezza e al rispetto della normativa a noi cari, questa è l’unica soluzione possibile.
Articolo scritto in collaborazione con Alessio Giusti di Flybri
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- Scritto da Faber
La realtà della ricerca e soccorso in generale è stata rivoluzionata dall’impiego dei droni grazie alla loro capacità di raggiungere aree impervie o pericolose per l’uomo.
In Italia, il loro impiego nel soccorso è diventato sempre più frequente, offrendo un contributo incredibile in termini di velocità di intervento, precisione della ricerca e, grazie ai droni dotati di termocamera, di effettuare operazioni in notturna, consentendo lo svolgimento delle attività di ricerca senza soluzione di continuità.
I Droni nella Ricerca e Soccorso
Le squadre di ricerca e soccorso utilizzano i droni che sono fondamentali al fine di:
- Avere consapevolezza: avere cognizione della situazione/scenario in cui si opera;
- Pianificare: le informazioni assunte da una ricognizione in volo consentono di poter pianificare la strategia di salvataggio;
- Trasmettere messaggi: comunicare con le persone una volta trovate, il tutto mantenendo il personale a distanza di sicurezza o in attesa che le squadre di terra si avvicinino al disperso.
In definitiva, i droni possono offrire alle squadre a terra e/o all’autorità decisionale che dirige l’operazione una vasta quantità di informazioni a un ritmo più rapido. È in dubbio che una squadra droni ben addestrata e con le giuste attrezzature (termocamera, streaming video, tracking termico, supporto radio, ecc.) sia in grado di localizzare i dispersi con un margine di tempo più veloce delle loro controparti a terra.
La Tecnologia per il Soccorso
I droni sono dotati di telecamere termografiche che permettono di mettere a disposizione le più moderne tecnologie, andando a sondare il territorio anche lì dove l’occhio umano non vede. Grazie alle ispezioni termografiche e ai software di tracking termico e ricerca è possibile individuare facilmente superstiti e animali scomparsi.
Alcuni casi di utilizzo dei droni in attività di soccorso
- 2016 - Terremoto nel Centro Italia: i droni sono stati impiegati nella mappatura delle zone colpite al fine di valutare i danni e individuare le aree più critiche in cui concentrare gli sforzi; questo ha permesso di ottimizzare le operazioni di soccorso, riducendo i tempi e aumentando l’efficacia degli interventi.
- 2022 - Alluvione nelle Marche: l’uso dei droni è stato prezioso per monitorare le zone alluvionate.
- 2023 - Alluvioni in Emilia-Romagna e in Veneto: anche qui, attraverso i droni, è stato possibile valutare l’entità delle inondazioni, identificare le persone isolate e dirigere i soccorsi in modo preciso.
Formazione e Addestramento: il binomio vincente
Una componente del successo dell’impiego dei droni nel soccorso è la formazione e l’addestramento dei piloti remoti. Diverse Associazioni di Protezione Civile hanno avviato programmi di formazione con la collaborazione delle Entità Riconosciute, ai quali bisogna necessariamente aggiungere corsi mirati sulla ricerca e soccorso. È attraverso, inoltre, la condivisione di protocolli e procedure uniformi alle varie componenti del Sistema di Protezione Civile che è possibile dare una risposta congiunta e sinergica durante l’emergenza, sempre nel rispetto della normativa vigente e a tutela di persone, animali e cose.
Il Futuro
L’Italia si sta muovendo a passo spedito verso l’integrazione tra i droni e il soccorso. Tanti sono i progetti in tal senso: droni dotati di termocamere sempre più performati abbinate a software di gestione sempre più evoluti, dispositivi in grado di trasportare defibrillatori/sangue/medicinali in zone remote e difficilmente accessibili o di ausilio per la salvaguardia della vita umana in mare.
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- Scritto da Faber
Geo-Awareness o Geo-Consapevolezza
Geo Awareness, che in italiano si traduce in Geo-consapevolezza, serve a garantire la sicurezza degli aerei e delle persone a terra. In tutta la zona EASA sono state istituite le UGZ (Zone Geografiche UAS).
Queste sono porzioni di spazio aereo in cui le operazioni UAS possono essere facilitate, limitate o escluse.
La normativa europea di riferimento è il Regolamento (EU) 2019/947 il quale, all’art. 2 - paragrafo 15, ne dà definizione:
<Geo-consapevolezza>: una funzione che, sulla base dei dati forniti dagli stati membri, rileva potenziali violazioni delle limitazioni dello spazio aereo e invia un segnale di allarme al pilota remoto, affinché possa adottare misure repentine ed efficaci per evitare tale violazione.
La geo-consapevolezza, pertanto, è una funzionalità che permette al pilota remoto di essere informato su queste zone geografiche durante la pianificazione e l’esecuzione di voli.
Le zone geografiche sono definite per:
- Minimizzare i rischi per la sicurezza.
- Proteggere la privacy altrui.
- Affrontare i problemi di sicurezza.
- Risolvere le preoccupazioni ambientali e dei terzi a terra.
Il sistema di geo-consapevolezza, che è presente negli UAS marcati C1, C2 e C3, permette di:
- Caricare e aggiornare, tramite un’interfaccia, i dati contenenti informazioni relative a eventuali limitazioni dello spazio aereo riguardanti la posizione e l’altitudine dell’UA, imposte dalle zone geografiche;
- Emettere un segnale di allarme al pilota remoto qualora sia individuata una potenziale violazione delle limitazioni dello spazio aereo;
- Informare il pilota remoto sullo stato dell’UA ed emettere un segnale di allarme qualora i sistemi di posizionamento o di navigazione non possano garantire il corretto funzionamento del sistema di geo-consapevolezza.
Le mappe che identificano le zone geografiche sono pubblicate dagli Stati che fanno parte di EASA e in Italia, come noto, sono pubblicate sul sito D-Flight.it.
La geo-consapevolezza è uno dei tre fondamenti del sistema U-Space, che sono: l’immatricolazione, la geo-consapevolezza e l’identificazione a distanza, che dal 1° gennaio 2024 sono entrati in vigore, vedi l’ID Remote.
Responsabilità dell’ACC (In Italia ENAC)
Il Regolamento (EU) 947/2019, all’art. 15, demanda agli stati membri, per motivi di sicurezza, in termini di security, tutela della riservatezza o dell’ambiente, la definizione delle condizioni operative delle zone geografiche nei provvedimenti che si riassumono in:
- Vietare alcune o tutte le operazioni UAS, richiedere particolari condizioni per alcune o per tutte le operazioni UAS o richiedere un’autorizzazione di volo preventiva per alcune o tutte le operazioni UAS;
- Sottoporre le operazioni UAS a norme ambientali specifiche;
- Consentire l’accesso solo a UAS dotati di determinate caratteristiche tecniche, in particolare sistemi di identificazioni a distanza o di geo-consapevolezza.
- Esentare, sulla base di una valutazione dei rischi, alcune zone geografiche UAS da uno o più requisisti della categoria aperta.
All’art. 18 – paragrafo f) – si prevede la messa a disposizione in un formato digitale unico e comune delle informazioni sulle zone geografiche UAS individuate dagli stati membri e definite all’interno dello spazio aereo nazionale dello stato di tale autorità competente.
Responsabilità del Pilota Remoto
Il pilota remoto prima di effettuare una operazione di volo, oltre alle normali azioni di verifica del drone e della conformità della normativa alla attività, deve verificare le informazioni derivanti dall’applicazione dell’art. 15.
Situazione in Italia
Al momento il sito D-flight, portale ufficiale a cui il Pilota Remoto fa riferimento per la cartografia, ha un sistema cartografico proprietario e questo non permette l’integrazione della cartografia italiana nei sistemi di Geo-referenziazione degli UAS che ne sono provvisti.
Per chi possiede un drone DJI
DJI ha introdotto al suo sistema di Geofencing GEO delle importanti modifiche per allinearsi alle regolamentazioni sui droni emanate da EASA, rilasciando quindi la versione Geo 2.0.
Il Geofencing DJI utilizza il GPS e altri segnali satellitari di navigazione per aiutare automaticamente a impedire ai droni di volare vicino a luoghi sensibili come aeroporti, carceri, uffici governativi, ecc..
Le restrizioni implementate
GEO 2.0 avrà zone di sicurezza tridimensionali dettagliate che consisteranno in forme poligonali complesse rispetto a semplici cerchi utilizzati nelle versioni precedenti di geofencing.
Il nuovo sistema applicherà le più severe restrizioni di geofencing a un rettangolo di corsa di 1,2 chilometri (¾ miglio) intorno a ciascuna pista. Ci sono anche percorsi di volo tridimensionali alle due estremità dove gli aerei salgono e scendono di quota. Tuttavia, restrizioni di geofencing più flessibili si applicano a un'area ovale entro 6 chilometri (3,7 miglia) da ciascuna pista. Ciò consente aree più aperte sui lati delle piste in cui eventualmente far volare il drone. Inoltre, si è ancora in grado di volare su basse altitudini a 3 chilometri (1,9 miglia) dalla fine di una pista.
Una modifica che verrà aggiunta a GEO 2.0 è la restrizione temporanea del volo (TFR). Questa sarà imposta durante eventi importanti o disastri naturali.
Aggiornamento App DJI
I Piloti remoti che volano con droni DJI, dovranno aggiornare il firmware del drone e aggiornare l'app DJI GO 4 o equivalenti.
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Il Regolamento EASA 947/2019 prevede l’obbligatorietà di questo dispositivo dal 1° gennaio 2024.
Il Remote ID o DRI è un sistema attivo che ha un ricevitore satellitare, un barometro, una IMU e un trasmettitore a bassa potenza che trasmette con tecnologia beacon.
Consente l’accesso ai dati necessari alla identificazione del codice dell’Operatore, della posizione del drone, la velocità, la direzione, e la posizione del pilota.
Tutti i cittadini possono rilevare le informazioni di identificazione remota attraverso una app dedicata per smartphone (Drone Scanner, Air Sentinel, ecc.). Tuttavia, solo le autorità di contrasto alle violazioni della normativa vigente saranno in grado di interrogare il database e associare il numero di registrazione dell'operatore UAS a un nome.
I droni che possiedono la marcatura di classe hanno già questo dispositivo integrato, all’operatore viene chiesto di inserire il Codice Operatore, comprensivo delle ultime tre cifre che sono segrete, le 3 cifre segrete. Queste 3 cifre hanno la funzione di validare il codice ed evitano la clonazione. Non vengono trasmesse dal DRI e non devono essere comunicate a nessuno.
I droni che non hanno la marcatura di classe e che operano nella categoria Specific o in scenari STS devono trasmettere un ID remoto, quindi necessitano di un dispositivo che ne permetta tale trasmissione.
Nel caso in cui l'operatore possieda più droni, lo stesso numero di registrazione dell'Operatore UAS deve essere caricato su tutti i droni.
E’ facoltà di ENAC di esentare determinate zone geografiche o scenari operativi dall'obbligo di Remote ID e da altri requisiti, analogamente a quanto già avviene per le zone UAS aeromodellistiche
Sono esentati gli UAS con le seguenti caratteristiche:
- C0 <250g. che hanno una velocità max 19 m/s.
- C4 in quanto aeromodelli.
Hanno l’obbligo del Remore ID:
- C1, C2, C3, C5 e C6;
- Droni che non hanno la marcatura di classe ma che operano in Specific o Scenari STS
EASA pubblica e aggiorna periodicamente sul proprio sito web un elenco di dispositivi Remore ID certificati.